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F.A.I.P. Federazione delle Associazioni Italiane di Psicoterapia
CODICE DEONTOLOGICO DEI COUNSELOR





Capo I - Principi generali

Art. 1 Le regole del presente Codice deontologico sono vincolanti per tutti gli iscritti all’elenco dei counselors della F.A.I.P. e del C.N.E.L. Il counselor è tenuto alla loro conoscenza e l’ignoranza delle medesime non esime dalla responsabilità disciplinare.

Art. 2 L’inosservanza dei precetti stabiliti nel presente codice deontologico, ed ogni azione od omissione, comunque contrarie al decoro, alla dignità ed al corretto esercizio della professione sarà sottoposta alle sanzioni previste dalla Commissione Disciplinare della F.A.I.P. secondo le norme previste dal Regolamento del Procedimento Disciplinare.

Art. 3 Il counselor considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere dell’individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stesse e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace. Il counselor è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell’esercizio professionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri; pertanto deve prestare particolare attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici, al fine di evitare l’uso non appropriato della sua influenza, e non utilizza indebitamente la fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza dei committenti e degli utenti destinatari della sua prestazione professionale. Il counselor è responsabile dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette conseguenze.

Art. 4 Nell’esercizio della professione, il counselor rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Il counselor utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione, presso cui il counselor opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto. In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di consulenza non coincidano, il counselor tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso.

Art. 5 Il counselor è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione professionale e ad aggiornarsi nella propria disciplina specificatamente nel settore in cui opera. Riconosce i limiti della propria competenza ed usa, pertanto, solo strumenti teorico-pratici per i quali ha acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Il counselor impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti ed i riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente/utente, aspettative infondate.

Art. 6 Il counselor accetta unicamente condizioni di lavoro che non compromettano la sua autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente codice, ed, in assenza di tali condizioni informa la F.A.I.P. Il counselor salvaguarda la propria autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti psicologici, nonché della loro utilizzazione; è perciò responsabile della loro applicazione ed uso, dei risultati, delle valutazioni ed interpretazioni che ne ricava. Nella collaborazione con professionisti di altre discipline esercita la piena autonomia professionale nel rispetto delle altrui competenze.

Art. 7 Nelle proprie attività professionali, nelle attività di ricerca e nelle comunicazioni dei risultati delle stesse, nonché nelle attività didattiche, il counselor valuta attentamente, anche in relazione al contesto, il grado di validità e di attendibilità di informazioni, dati e fonti su cui basa le conclusioni raggiunte; espone, all’occorrenza, le ipotesi interpretative alternative, ed esplicita i limiti dei risultati. Il counselor, su casi specifici, esprime valutazioni e giudizi professionali, solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta, ovvero su una documentazione adeguata ed attendibile.

Art. 8 Nella sua attività di ricerca, il counselor è tenuto ad informare adeguatamente i soggetti in essa coinvolti, al fine di ottenere il previo consenso informato, anche relativamente al nome, allo status scientifico e professionale del ricercatore ed alla sua eventuale istituzione di appartenenza. Egli deve altresì garantire a tali soggetti la piena libertà di concedere, di rifiutare o di ritirare il consenso stesso. Nell’ipotesi in cui la natura della ricerca non consenta di informare preventivamente e correttamente i soggetti su taluni aspetti della ricerca stessa, il counselor ha l’obbligo di fornire comunque, alla fine della prova o della raccolta dei dati, le informazioni dovute e di ottenere l’autorizzazione all’uso dei dati raccolti. Per quanto concerne i soggetti che, per età o per altri motivi, non sono in grado di esprimere il loro consenso, questo deve essere dato da chi ne ha la potestà genitoriale o la tutela, ed altresì dai soggetti stessi, ove siano in grado di comprendere la natura della collaborazione richiesta. Deve essere tutelato, in ogni caso, il diritto dei soggetti alla riservatezza, alla non riconoscibilità ed all’anonimato.

Art. 9 Quando le attività di ricerca hanno ad oggetto il comportamento degli animali, il counselor si impegna a rispettarne la natura e ad evitare loro sofferenze.

Art. 10 Il counselor è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.

Art. 11 Il counselor si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto professionale. Può derogare all’obbligo di mantenere il segreto professionale, anche in caso di testimonianza, esclusivamente in presenza di valido e dimostrabile consenso del destinatario della sua prestazione. Valuta, comunque, l’opportunità di fare uso di tale consenso, considerando preminente la tutela psicologica dello stesso.

Art. 12 Nel caso di obbligo di referto o di obbligo di denuncia, il counselor limita allo stretto necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai fini della tutela psicologica del soggetto. Negli altri casi, valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi.

Art. 13 Il counselor, nel caso di intervento su o attraverso gruppi, è tenuto ad informare, nella fase iniziale, circa le regole che governano tale intervento. E’ tenuto altresì ad impegnare, quando necessario, i componenti del gruppo al rispetto del diritto di ciascuno alla riservatezza.

Art. 14 Nel caso di collaborazione con altri soggetti parimenti tenuti al segreto professionale, il counselor può condividere soltanto le informazioni strettamente necessarie, in relazione al tipo di collaborazione.

Art. 15 Il counselor redige le comunicazioni scientifiche, se pur indirizzate ad un pubblico di professionisti tenuti al segreto professionale, in modo da salvaguardare in ogni caso l’anonimato del destinatario della prestazione.

Art. 16 La segretezza delle comunicazioni deve essere protetta anche attraverso la custodia ed il controllo di appunti, note ,scritti o registrazioni di qualsiasi genere e sotto qualsiasi forma, che riguardino il rapporto professionale. Tale documentazione deve essere conservata per almeno i cinque anni successivi alla conclusione del rapporto professionale, fatto salvo quanto previsto da norme specifiche. Il counselor deve provvedere affinché, in caso di sua morte o di un suo impedimento, tale protezione sia affidata ad un collega o alla F.A.I.P. Il counselor che collabora alla costituzione ed all’uso di sistemi di documentazione, si adopera per la realizzazione di garanzie di tutela dei soggetti interessati.

Art. 17 In ogni contesto professionale, il counselor deve adoperarsi affinché sia il più possibile rispettata la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del paziente, del professionista cui rivolgersi.

Art. 18 Il counselor che presta la sua opera professionale in contesti di selezione e valutazione è tenuto a rispettare esclusivamente i criteri della specifica competenza, qualificazione o preparazione, e non avvalla decisioni contrarie a tali principi.

Art. 19 Nella sua attività di docenza, di didattica e di formazione il counselor stimola negli studenti, allievi e tirocinanti l’interesse per i principi deontologici, anche ispirando ad essi la propria condotta professionale.




Capo II - Rapporti con l’utenza e con la committenza

Art. 20 Il counselor adotta condotte non lesive per le persone di cui si occupa professionalmente, e non utilizza il proprio ruolo ed i propri strumenti professionali per assicurare a sé o ad altri indebiti vantaggi.

Art. 21 Il counselor , nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza. Pertanto, opera in modo che chi ne ha il diritto possa esprimere un consenso informato. Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà essere indicata, ove possibile, la prevedibile durata.

Art. 22 Il counselor si astiene dall’intraprendere o dal proseguire qualsiasi attività professionale ove propri problemi o conflitti personali, interferendo con l’efficacia delle sue prestazioni, le rendano inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte. Evita inoltre, di assumere ruoli professionali e di compiere interventi nei confronti dell’utenza, anche su richiesta dell’Autorità Giudiziaria, qualora la natura di precedenti rapporti possa compromettere la credibilità e l’efficacia.

Art. 23 Il counselor evita commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che possano interferire con l’attività professionale o comunque arrecare nocumento all’immagine sociale della professione. Al counselor è vietata qualsiasi attività che, in ragione del rapporto professionale, possa produrre per lui indebiti vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non patrimoniale, ad esclusione del compenso pattuito. Il counselor non sfrutta la posizione professionale che assume nei confronti dei colleghi in supervisione e di tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale.

Art. 24 Il counselor può subordinare il proprio intervento alla condizione che il paziente si serva di determinati presidi, istituti o luoghi di cura soltanto per fondati motivi di natura scientifico-professionale.

Art. 25 Nell’esercizio della sua professione al counselor è vietata qualsiasi forma di compenso che non costituisca il corrispettivo di prestazioni professionali .

Art. 26 Le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette sono generalmente subordinate al consenso di chi esercita sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela. Il counselor che, in assenza del consenso di cui al precedente comma, giudichi necessario l’intervento professionale nonché l’assoluta riservatezza dello stesso, è tenuto ad informare l’Autorità Tutoria dell’instaurarsi della relazione professionale. Sono fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine dell’autorità legalmente competente o in strutture legislativamente preposte.

Art.27 Quando il counselor acconsente a fornire una prestazione professionale su richiesta di un committente diverso dal destinatario della prestazione stessa, è tenuto a chiarire con le parti in causa la natura e la finalità dell’intervento.



Capo III - Rapporti con i colleghi

Art. 28 I rapporti tra i counselors devono ispirarsi al principio del rispetto reciproco, della lealtà e della colleganza. Il counselor appoggia e sostiene i Colleghi che, nell’ambito della propria attività, quale che sia la natura del loro rapporto di lavoro e la loro posizione gerarchica, vedano compromessa la loro autonomia ed il rispetto delle norme deontologiche.

Art. 29 Il counselor si impegna a contribuire allo sviluppo delle discipline psicologiche e a comunicare i progressi delle sue conoscenze e delle sue tecniche alla comunità professionale, anche al fine di favorirne la diffusione per scopi di benessere umano e sociale.

Art. 30 Nel presentare i risultati delle proprie ricerche, il counselor è tenuto ad indicare la fonte degli altrui contributi.

Art. 31 Il counselor si astiene dal dare pubblicamente su colleghi giudizi negativi relativi alla loro formazione, alla loro competenza ed ai risultati conseguiti a seguito di interventi professionali, o comunque giudizi lesivi del loro decoro e della loro reputazione professionale. Costituisce aggravante il fatto che tali giudizi negativi siano volti a sottrarre clientela ai colleghi. Qualora ravvisi casi di scorretta condotta professionale che possano tradursi in danno per gli utenti o per il decoro della professione, il counselor è tenuto a darne tempestiva comunicazione alla Commissione Disciplinare della F.A.I.P.

Art. 32 Il counselor accetta il mandato professionale esclusivamente nei limiti delle proprie competenze. Qualora l’interesse del committente e/o del destinatario della prestazione richieda il ricorso ad altre specifiche competenze, il counselor propone la consulenza o l’invio ad altro collega o ad altro professionista.

Art. 33 Nell’esercizio della propria attività professionale e nelle circostanze in cui rappresenta pubblicamente la professione a qualsiasi titolo, il counselor è tenuto ad uniformare la propria condotta ai principi del decoro e della dignità professionale.



Capo IV - Rapporti con la società

Art. 34 Il counselor presenta in modo corretto ed accurato la propria formazione , esperienza e competenza. Riconosce quale suo dovere quello di aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte.

Art. 35 Il counselor non assume pubblicamente comportamenti scorretti finalizzati al procacciamento della clientela. In ogni caso, la pubblicità e l’informazione, concernenti l’attività professionale, devono essere ispirate a criteri di decoro professionale, di serietà scientifica e di tutela dell’immagine della professione.



Capo  V - Norme di attuazione

Art. 36 Il presente Codice Deontologico , approvato dal Consiglio Direttivo della F.A.I.P.,nella seduta del 7 Giugno 2003 , è il testo al quale si atterrà la Commissione disciplinare, allorché convocata per risolvere abusi ed illiceità inerenti la professione del counselor.


 

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